di Bruna Osimo
A proposito della scelta del governo di Giorgia Meloni di accordo tra Italia e Albania per la costruzione a Gjader di un Cpr – Centro di permanenza per il rimpatrio – molti si sono soffermati sui costi e l’inopportunità di destinare denaro pubblico alla realizzazione di una struttura di detenzione di migranti per ‘custodirli’ colà in attesa che l’Italia decida sul loro eventuale rimpatrio. La soluzione è da molti indicata come uno “spreco di denaro pubblico”: notazione che condivido anche perché non appare nulla quanto a eventuali benefici: quali? e generando quale ammontare di risparmio?
Quello che non condivido è la presenza di una sostanziale indifferenza – una parola cui spesso ci richiama Liliana Segre – sul diritto di “tras?de?/portare” colà quelle persone.[1]
Una questione di diritto era stata sollevata già dopo il primo trasporto con sbarco poiché tra gli otto trasportati si trovavano “due uomini adulti, egiziani in cattive condizioni di salute e due minori, sedicenni provenienti dal Bangladesh”[2], ma riguardava singoli casi. Quello su cui dovremmo interrogarci è se abbia diritto lo stato Italia di deportare queste persone in un altro stato l’Albania, utilizzando una nave come mezzo di trasporto.
La parola deportazione è stata usata in Italia da Orban quando, dal palco di Pontida lo scorso settembre ha arringato i presenti “«contro l’Europa unita che dobbiamo rioccupare». E li fa ridere felici quando promette «Deporteremo gli immigrati da Budapest a Bruxelles e li scaricheremo davanti agli uffici dei burocrati»”[3].
Poi è arrivato anche Trump a sdoganare la parola deportazione [4] facendola uscire dai libri di storia dove era stata usata per raccontare di donne e uomini deportati dall’Africa in condizione di schiavitù, acquistati da coloni proprietari terrieri per lavorare i campi negli Stati Uniti.
Tornando all’Albania viene presentata come sede intermedia verso un trasferimento definitivo. Mi ricorda alcuni passaggi di Hannah Arendt, a proposito della destinazione in merito al trasporto di ebrei dai loro paesi di origine. Per esempio quando racconta di come, nel secolo scorso, in Italia funzionarono campi di internamento dove molti ebrei si trovarono a vivere fino all’occupazione nazista. E di come Eichmann, uno dei boia che operarono in Europa, ottenne talora anche collaborazione, dichiarando che i treni avrebbero raggiunto dei campi di smistamento (verso che destinazione?)[5].
E così azzardo un paragone tra le navi di oggi e i treni di ieri che percorrevano l’Europa nell’indifferenza degli abitanti dei paesi attraversati. Provai a chiederne conto alla madre di una mia amica che era stata staffetta durante la guerra partigiana. Infatti tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta mi interrogavo sul come mai nei documenti pubblicati sulla Resistenza [6] non si trovasse traccia … nessuno parlava di quei treni … eppure un film del 1964 “Il treno” raccontava di un treno carico di opere d’arte trafugate dove il macchinista del treno, un capo della Resistenza, manda in fumo il progetto del comandante tedesco.[7]
Nella mia testa si confrontavano il treno con i quadri e i tanti treni carichi di persone, così chiesi alla madre della mia amica “come mai non avete provato a fermarli? ma non lo sapevate?” … lei era in quel momento una donna molto malata e quando mi rispose a grande fatica, con lo sguardo basso, palesemente contrita e piena di vergogna “lo sapevamo ma pensavamo si trattasse di poche migliaia di persone” le presi una mano e rimanemmo in silenzio … le restava poco da vivere e non volevo aggiungere tormento ai suoi ultimi giorni.
La senatrice Liliana Segre è la grande testimone dell’indifferenza: nel suo intervento al Quirinale lo scorso 28 gennaio, rispondendo a una giovane che le domanda quale sia il rimedio all’indifferenza risponde: l’accoglienza. Una parola che nel nostro paese sembra toccare le coscienze – almeno in grande misura se non universalmente – nel salvare i migranti dall’affogare in mare. Ma una volta che quelle persone toccano terra sembra prevalere il vecchio proverbio che recita “chi fa da sé fa per tre”, annullando il sentimento della cura, lasciando il posto all’indifferenza.
È l’accoglienza dunque la frontiera sulla quale riflettere provando a comprenderla nei suoi tratti essenziali, nei contenuti giuridici e in quelli culturali.
L’accoglienza ci chiede di provare a immaginare cosa significa essere migranti, crescere e andare a scuola, diventare adolescenti e maggiorenni in un paese che non è quello in cui si è nati oppure non sono nati i propri genitori.
Zlatan Ibrahimović, il calciatore svedese originario dell’Europa dell’Est ci offre uno spaccato a questo proposito con un racconto legato alla sua adolescenza.
… “Durante la mia vita ho avuto solo due rapporti: uno prima di Helena e poi Helena (nda: la compagna e madre dei suoi figli, che è bionda).
L’unico vero rapporto che mi importava da ragazzo era quello con il pallone.
Per gli italiani le ragazze svedesi sono tutte belle, bionde, sorridenti, emancipate, disinvolte. E non solo per gli italiani. È così nell’immaginario collettivo, lo so. Ma io quell’immaginario l’ho scoperto a diciassette anni, quando mi sono avventurato per la prima volta nel centro di Malmö. Nel mio quartiere eravamo tutti stranieri, le ragazze avevano i capelli e gli occhi scuri e molte portavano il velo. Arrivato a Stoccolma, è stato ancora più impressionante. Pensavo: «Tutte queste bionde nella stessa piazza … Non è una cosa normale».
Crescendo i due mondi si sono avvicinati sempre più.” [8]
E così, l’iniziare dare vita a forme adeguate di accoglienza potrebbe trovare una guida nel leitmotiv di Ibra: fare sì che “i due mondi si avvicinino, sempre più”.
[1] L’immagine riprende la scritta voluta da Liliana Segre esposta all’interno del memoriale della Shoah https://www.google.com/search?
[2] La notizia, della presenza di un minore comparve anche su qualche quotidiano. La mia fonte è https://www.ilpost.it/2024/10/16/nave-italiana-migranti-arrivata-albania/. Inoltre è in corso uno scontro istituzione in Italia e tra l’Italia e l’Europa per la definizione di quali siano i paesi sicuri per l’eventuale rimpatrio di migranti.
[3] Francesco Merlo “Nel fango con Orban”, quotidiano la Repubblica ‘Primo piano. L’adunata leghista’, 7 0ttobre 2024, pag.2
[4] Francesco Semprini, Alberto Simoni “La Deportazione”, quotidiano La Stampa ‘Il Pentagono mostra le foto dei migranti incatenati e caricati sugli aerei militari per essere espulsi’, 25 gennaio 2025, prima pagina
[5] Hannah Arendt “La banalità del male”, ed. Feltrinelli, ventesima edizione, Milano, 2018, in particolare capitolo sesto e pag. 185
[6] La Casa editrice Feltrinelli pubblicò Annali dedicati alla documentazione della Resistenza.
[7] Nel 1964 il film “Il treno” interpretato da Burt Lancaster fu candidato di all’Oscar. Ambientato nella Francia occupata dai nazisti, il film racconta del tentativo riuscito di fermare un treno carico di opere d’arte trafugate dai nazisti che occupavano la Francia.
[8] Zlatan Ibrahimović “Adrenalina”, ed. RCS MediaGroup S.p.A. Milano, 2021, pag. 100
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