Nota della Redazione “Imparare da un Millennial”. Inizia con questo articolo la collaborazione di Marco Ferri con questo portale dedicato alla democrazia, alla capacità dei suoi beneficiari di darsi da fare per rinnovarla e così conservarla. Buon lavoro Marco e grazie da tutti noi. [B.O.]
di Marco Ferri
In qualità di giovane universitario ho vissuto l’evoluzione del sistema democratico e l’avvicendarsi di questioni politiche quasi senza consapevolezza del fatto che legittimamente potessero essere definite fatti storici. Eppure, uno di quei fatti è stata senza dubbio l’invenzione dei social con il suo impatto sulla società e sulla politica.
Nel giro di qualche anno, pressappoco dal 2008 al 2010, è diventato possibile comunicare col mondo in tempo reale e interagire in modi sempre più complessi. Siti come Facebook e Twitter hanno iniziato ad espandersi su scala globale attivando milioni di account. Le comunicazioni digitali hanno impoverito quelle verbali e la società si è parzialmente traslata su una dimensione virtuale. A me è capitato di nascere dopo l’avvento di Internet e ricordo che durante l’adolescenza, a scuola, si discuteva molto di più di ciò che guardavamo su YouTube o che leggevamo su Facebook piuttosto che di cose che vivevamo fisicamente. Nel frattempo i social si “democratizzavano” ampliando numero di utenti e potenzialità riguardo alla loro interazione e a sua volta la democrazia si contaminava coi social assistendo al formarsi di un’opinione pubblica virtuale e a nuove forme di partecipazione.
E’ interessante notare come il successo politico – quasi un trionfo – di partiti e movimenti che sono arrivati a un “consolidamento istituzionale” nell’ultimo decennio sia passato soprattutto attraverso canali social – più nello specifico via Facebook per il Movimento 5 stelle e via Instagram per la Lega nel momento dell’offerta politica su scala nazionale anziché locale e di espansione della base elettorale –. Gli argomenti di dibattito poi, anche e non solo del ceto politico ma a partire da larga parte del ceto politico, si sono frazionati allo scopo di intercettare ogni possibile interesse e, più malevolmente, hanno perso di generalità, di astrazione e di profondità.
E tuttavia se è vero che gli impatti negativi del fenomeno sono tangibili bisogna riconoscere che quelli positivi lo sono di più: l’accesso gratuito ed immediato a tantissime risorse culturali, comunicative, di intrattenimento, emotive; la democratizzazione e, in generale, l’aumento di consapevolezza; l’occasione di connettersi ed esprimersi in comunità aperte. Tutto questo ha segnato la vita della democrazia e l’adolescenza della mia generazione. Siamo cresciuti in un mondo interconnesso e abbiamo avuto la possibilità di includerci in reti sociali sempre più ampie dove molti hanno potuto ritagliarsi delle nicchie personali in cui mettersi in gioco e imparare dagli altri, a volte in modo più frivolo e basato sulla logica dell’apparire, a volte più stimolanti e virtuose. Queste dinamiche sono state presto assorbite dal processo democratico e ne hanno arricchito la fluidità, l’inclusione, la consapevolezza generale e il dibattito. Si sono creati ad esempio movimenti di opinione e campagne di sensibilizzazione tra gli utenti dei social e molte persone sono riuscite a sentirsi incluse e comprese come nel caso delle comunità LGBTQ+ online.
Tornando alle insidie del fenomeno va detto tuttavia che ci troviamo immersi, ormai, in una liquidità virtuale (che si trasforma senza posa come ogni liquido) dove un post su Twitter a volte è più influente di una dichiarazione ufficiale, tanto che la viralità e la quantità degli scambi possono arrivare a inficiare la qualità e la verità degli stessi. Sono stati documentati casi di account fasulli, creati allo scopo di influenzare le opinioni politiche[*], e ha preso piede il fenomeno delle echo chambers – letteralmente “camere dell’eco”– in cui viene convalidato continuativamente lo stesso punto di vista: si tratta di ambienti virtuali in cui gli individui si confinano secondo logiche di partigianeria acritica alimentando il rischio di estremismo violento.
Lo studioso Cass Sustein, principale fautore della teoria delle echo chambers, afferma che è necessario introdurre nei social livelli maggiori di “serendipity” che facciano incontrare agli utenti informazioni e pensieri contrastanti. La serendipitá, termine di derivazione inglese coniato dallo scrittore Walpole nel diciottesimo secolo, indica la possibilità di imbattersi in piacevoli scoperte mentre si è alla ricerca di altro e trova un’applicazione pratica sia in economia che in sociologia.
Credo sia particolarmente importante, oggi, avere un sano atteggiamento critico (e autocritico!) che favorisca lo sviluppo della serendipitá – coltivandola anche nel momento in cui si utilizzano i social – per non farsi trascinare nel calderone virtuale di opinioni sentenziose scambiate per coraggiose asserzioni e con il rischio di trasferire questa modalità anche nelle relazioni “vis a vis”. La democrazia è un bene da proteggere, non una garanzia immutabile, servono anticorpi e cittadini con spirito critico in grado di difenderla da demagogie e pulsioni estremiste. Se è vero che il nostro sistema politico-istituzionale gode di buona salute, come riconosciuto dal principale quantificatore del tasso di democratizzazione degli Stati, il Democracy Index[**], è altrettanto vero che assumere la democrazia come un dato acquisito, quasi scontato, sia un errore grossolano.
Il fenomeno delle echo chambers rappresenta una perniciosa incrinatura del robusto tessuto sociopolitico dell’Italia, e in generale delle democrazie avanzate, non tanto per i casi già studiati quanto più per i potenziali danni che potrebbe arrecare in futuro. In un contesto geopolitico che vede l’acuirsi di tensioni fra le maggiori potenze globali le echo chambers rischiano di fare aumentare l’incomunicabilità tra le parti sociali e, in definitiva, tra le opinioni pubbliche dei diversi paesi. Fortunatamente questi scenari rappresentano lo sviluppo peggiore del fenomeno e la nostra società (compresa quella virtuale) rimane coraggiosamente libera e aperta. Dobbiamo tenere alta la bandiera della serendipità e ricordarci che tutto ciò che i social ci trasmettono deve sempre essere saldamente ancorato alla realtà concreta.
Lo sviluppo dei social può essere una grande occasione di fare apprezzare al mondo, specie la parte meno fortunata, il sistema democratico e i suoi metodi (ed anche migliorare i nostri) ma non bisogna inciampare nel tranello di ritenere questi strumenti virtuali una palingenesi per la società e nemmeno, all’opposto, una catastrofe responsabile di mistificazioni e odi reciproci.
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