La forma della democrazia. Ambiente, società, economia circolare.

di Bruna Osimo

Annalisa Moro è una giovane donna che ho conosciuto nell’estate 2021 durante la campagna elettorale per l’elezione del sindaco a Milano, confrontandoci sull’economia circolare e azioni possibili a Milano. La ringrazio per avermi dato l’opportunità di una conversazione con lei su questo tema.  

Per introdurre il tema Annalisa richiama la parola greca oikos e mi ha fatto ripensare a una pagina di Sami Modiano in cui ricorda la sua vita a Rodi, poco tempo prima di essere deportato a Auschwitz. «Io lavoravo a Rodi. Oltre ad andare a scuola facevo il technichigi. … Non è un mestiere, è un’arte. L’arte di non considerare morte le cose nel momento in cui smettono di funzionare … Nel mondo in cui sono cresciuto io … ogni cosa è fatta di un materiale e quel materiale può essere riusato”»[1]. Testimonianza di un ‘ambiente rurale’ che si concede il lusso dell’essenzialità.

R. In generale l’economia circolare è un paradigma alternativo all’economia lineare e mira a chiudere il ciclo delle risorse, per cui quello che per un attore è uno scarto viene utilizzato da altri attori della filiera. È importante sottolineare che economia circolare è economia, parola che origina dal greco oikos [2] e rimanda a un modello economico di gestione di risorse scarse … interessante e ancora più rilevante oggi, un‘epoca in cui tra cambiamento climatico e uso delle risorse fatto finora, siamo in presenza di una scarsità di risorse ben più significativa di quando si iniziava ad applicare il modello lineare. Il che dà anche una touche alla rapidità con cui si deve cambiare modello e adottarne uno nuovo.

D. Molto interessante … puoi fare qualche esempio di cui hai una conoscenza diretta?

R. Concentrandoci sul design di materiali per esempio nel tessile – filiera molto ostica … gli indumenti sono difficili da riciclare perché prodotti con un mix di fibre difficili da separare – una molto nota è Orange Fiber, che utilizza scarti delle bucce d’arancia per produrre tessuti, ma ci sono anche tessuti prodotti con bucce di ananas come Pinatex o, qui a Milano, filati di cotone prodotti con scarti del latte da Duedilatte. Per fare altri esempi mi è capitato di intervistare Milk Bric, una start up che con gli scarti del latte fa costruzioni, o anche Rice House che con gli scarti del riso fa prodotti per architettura. È in crescita anche l’utilizzo di scarti biologici per realizzare packaging che estendono la vita dei prodotti sul banco alimentare in alternativa alla plastica. Altra cosa che mi piace è il design circolare applicato ai servizi perché esso cambia il paradigma della proprietà

D. Un collegamento che non tutti fanno … puoi approfondire?

R. Siamo da sempre abituati a possedere la cosa che usiamo … l’economia circolare si chiede «perché dobbiamo per forza possedere un oggetto? Magari lo posso semplicemente utilizzare senza detenerne la proprietà» … questo è bello perché presuppone che si producano meno cose e che ogni singola cosa venga utilizzata da molte persone spingendole anche a prendersene cura per farla durare di più e riparandola quando necessario. E questo ci collega alla responsabilità del produttore … ad oggi il produttore è responsabile in termini di “reputation” verso i suoi clienti, a cui il prodotto può piacere o no ma non verso la società nel suo complesso per le risorse che consuma e per le conseguenze ambientali che produce, o meglio, non ha responsabilità delle cosiddette “esternalità negative”. Questo è l’aspetto che mi piace della trasformazione dalla proprietà alla “servitization. Se come produttore mi propongo di mantenere la proprietà del prodotto e a farlo utilizzare a più persone questo implica un mio interesse a far durare a lungo quel prodotto affinché si generino più ricavi mantenendo la materia in uso. Fino ad oggi l’economia è sempre cresciuta con l’aumento del consumo di risorse mentre oggi l’economia circolare si interroga sul come posso generare maggior valore e profitto mantenendo invariata la porzione di risorse ‘prelevate’ … come? riutilizzando, facendo sharing, guardando alla qualità dell’economia e alla complessità.  L’attenzione all’ambiente e l’importanza della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi è finalmente entrata anche nella Costituzione italiana, con la proposta di legge costituzionale approvata lo scorso 8 febbraio.[3]

D. Hai utilizzato le parole responsabilità e qualità …

R. Magari fai un prodotto bellissimo ma se non ha qualità intrinseca … ho letto un’intervista a Armani[4], mi è molto piaciuto l’accento che ha messo sulle parole responsabilità e bellezza in occasione della festa dedicata alla sostenibilità nel padiglione italiano all’Expo di Dubai, due parole chiave secondo me. Se sei un’impresa hai responsabilità in quanto operi all’interno di una società … sicuramente un’impresa apporta qualcosa ed è normale e possibile che prenda risorse dal pianeta – risorse che per fortuna sono o dovrebbero essere pubbliche e sotto la supervisione del genere umano – e se prende è importante che dia qualcosa alla società, che ci sia uno scambio di valore e risorse. Lo scambio è simbolizzato dal denaro, ma c’è molto altro. È importante che chi opera per l’impresa senta la responsabilità di questo scambio. L’altra parola è bellezza. Una cosa che ho notato spesso è che le cose sostenibili obiettivamente erano brutte! brutte! e questo è stato sottovalutato da chi produce. Al di là del prezzo spesso eccessivo, che la sostenibilità inavvicinabile per tante fasce della popolazione, l’altro aspetto è che una cosa deve essere bella. La sostenibilità richiama la natura e la natura obiettivamente è bella e dunque se si vuole creare una cosa che sia sostenibile deve anche essere bella. Con bellezza intendo l’essere armonioso, equilibrato, bilanciato. I prodotti dovrebbero esserlo in toto, armoniosi nella forma e nella sostanza.  Lo noto spesso nei vestiti … il fast fashion ha un design più accattivante e più bello … il sostenibile deve essere bello e anche se è difficile per il discorso di filati e colori, è importante farsi guidare dalla bellezza perché, come dice Armani «la bellezza connette le persone».

D. Armani nell’articolo chiede anche di «non usare la parola riciclo» … che ne pensi?

R. Sono d’accordo. Riciclo rimanda all’idea di buttare una cosa perché per me è senza valore o lo ha perso. Userei la parola recupero che implica che ci sia ancora del valore intrinseco nella cosa che scarto. E’ chiaro che ad oggi abbiamo conseguenze del modello lineare e il recupero non lo possiamo eliminare ma è importante che da oggi in poi aziende e designer si assumano la responsabilità di sapere che il prodotto verrà gestito senza produrre scarti da recuperare. Inoltre, la parola riciclo non mi piace anche perché, detto così, il riciclo sembra facile mentre in realtà comporta molte esternalità negative, dispendio di energie, uso di componenti chimici, inquinamento. Bisogna cercare davvero di prendere ispirazione dai cicli naturali, da quella che viene chiamata “biomimicry” [5i]è difficile ma è una sfida elettrizzante fare in modo che ciò che produco rimanga in circolo. Oggi siamo davanti a una crisi e questi sono i momenti in cui le persone sono spinte a mettere in discussione i propri paradigmi. Le nuove generazioni sono già più orientate a usare più che a possedere … mentre prima, per esempio, l’auto era uno status symbol o era dato per scontato possederla anche se la si usava poco e restava ferma in garage per il 90% del tempo. Altrettanto vale  per gli attrezzi … quando mi sono trasferita a Milano mio padre mi ha prestato il trapano così non ho dovuto comprarlo e mi sono detta: ma perché non avere in quartiere una “Biblioteca degli attrezzi”? D. La suggeriresti per la città? R. Sì certo, noi con le nostre competenze e i nostri oggetti viviamo in nicchie singole … si tratta di rivalutare il mutualismo, il territorio che circonda le nostre case come territorio di scambio di valore d’uso, vale per gli oggetti, ma anche per le competenze messe a disposizione in spazi comuni.


[1]v. “Tana libera tutti” Walter Veltroni incontra Sami Modiano, ed. Feltrinelli, Milano, gennaio 2021, pag.21

[2] L’«oikos era l’unità di base della società, nella maggior parte delle città-stato greche e comprendeva il capo dell’oikos (di solito il maschio più anziano), la sua famiglia (moglie e figli), e gli schiavi che vivevano insieme in un ambiente domestico. I grandi oîkoi avevano anche delle aziende agricole, di solito condotte dagli schiavi, che erano anche l’unità agricola di base dell’antica economia». v. https://it.wikipedia.org/wiki/Oikos 

[3] v. Articoli della costituzione che sono stati modificati 9 e 41

[4] v. “La notte magica di Giorgio Armani” di Maria Corbi, articolo apparso su La Stampa, sabato 30 0ottobre 2021. “La festa è dedicata alla sostenibilità, tema sempre più cruciale per la moda. … uno stile «un codice il mio basato sulla purezza e la sottrazione si ottiene un risultato che resiste all’usura del tempo», spiega il maestro. Ma non usate la parola riciclo «Non mi piace». La salvaguardia del pianeta, spiega, «È una necessità, un dovere morale … l’industria del lusso deve adottare un modo di pensare e fare le cose che sia rispettoso e responsabile»”.    

[5] https://biomimicry.org/

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