Una grande quantità di denaro sarà resa disponibile dall’Unione Europea e nel dibattito politico e sociale irrompe la parola Piano (Recovery Plan).
Conversiamo di Pianificazione con Riccardo Alloni che conobbi nell’azienda di telecomunicazioni dove negli anni Ottanta fu direttore della Funzione di Pianificazione Strategica, in Italtel al tempo di Marisa Bellisario. Con lei Riccardo aveva già collaborato in Olivetti/General Electric/Honeywell, maturando una solida e ampia competenza – un’«esperienza di mestiere» per così dire – a fondamento della sua carriera. Due parole ricorrono nel suo conversare, vision e coraggio. Scrive Maurizio Molinari , a luglio, in un editoriale: “siamo il Paese che avrà più aiuti e prestiti e, da come li gestiremo, dipenderà in buona parte la credibilità dell’intera operazione di salvataggio dell’economia UE. Se il governo Conte sarà rapido nelle decisioni, visionario sulla crescita e coraggioso nella sfida a burocrazia e corruzione, diventeremo un modello per il rilancio UE, così come i nostri medici e infermieri lo sono stati nella resistenza al virus. Se, invece, a prevalere saranno liti intestine, cecità politiche e resistenze burocratiche, allora, l’occasione sarà perduta.” [i]
D. Pianificazione, una parola che in questi giorni ricorre nei media italiani in relazione alle ingenti risorse economiche che saranno messe a disposizione dall’Europa e dalle sue istituzioni. Che cosa significa fare pianificazione, fare un piano?
R. Ci sono livelli diversi da considerare quando si parla di Pianificazione. Ognuno di noi fa dei piani e ogni individuo inconsapevolmente pianifica: per comprare casa, andare in vacanza, farsi una pensione, avere dei figli, esempi che valgono per italiani, turchi, giapponesi americani. L’individuo pianifica al meglio con gli strumenti che ha in modo ovvio e conseguente all’obiettivo che si è prefisso. Il contesto in cui si muove, e soprattutto il tempo – variabile determinante – di cui ha bisogno è comunque sotto il suo controllo, gli aggiustamenti li fa in autonomia o con l’aiuto che può richiedere a genitori, parenti, amici. Se dicessi a quella persona che per fare quello che fa «sta facendo pianificazione» si metterebbe a ridere.
Tutto cambia se si parte da una vision[ii] e, in modo consapevole a partire da questa, si richiede o si pensa a una pianificazione che coinvolge grandi enti o strutture. Infatti quando la pianificazione riguarda attività in un grande ente – pubblico o privato che sia – che punti a migliorare la Sanità, a fondere la propria Società con un’altra , a realizzare nuovi prodotti o sistemi, a andare su Marte, a costruire un nuovo Partito, in tutti questi casi si tratta di attività che presuppongo una vision che proietta molto in avanti in un tempo che attiene al dopodomani ben più che al domani. Appare evidente la complessità di un percorso che partendo dal disponibile – oggi – deve puntare a far sì che – attraversando anni, decenni a volte – quanto di innovativo si va via via proponendo possa o debba confluire nella implementazione in corso.
La pianificazione in contesti industriali è una funzione ormai assodata. Soprattutto nelle grandi aziende c’è un’attività di questo tipo e qualcuno che ne ha la responsabilità per chiarire cosa faccio come azienda, dove sto andando, dove voglio arrivare e con chi. C’è bisogno di persone autorevoli riconosciute come tali – cioè che gli altri, in azienda, stanno a ascoltare –, collocate a un livello organizzativo necessariamente medio-alto che permetta loro un continuo dialogo con il top management. Di norma chi pianifica ha la capacità di arrivare velocemente alla sintesi e nel mare di problemi che si propongono di individuare e isolare quelli veri dai falsi.
D. E in un ente pubblico?
R. Non sono mai stato in un ente pubblico. La domanda è se nei grandi enti pubblici o ministeriali ci sia qualcuno che si occupi di pianificazione e la risposta penso non possa che essere sì. L’attività di questa persona dovrebbe prendere avvio da un dettato di un leader – un politico? – capace di una visione, che sa cosa vuole raggiungere e chieda a questa persona «stendi un piano che mi dica come posso arrivare fino a lì, di cosa ho bisogno, con chi devo farlo e come … mi orienti sulla scelta degli strumenti e del tempo che occorre per perseguire l’obiettivo … quando fare dei check per capire se sto andando nella direzione giusta o sbagliata, e anche dirmi che nel frattempo le cose sono cambiate e non ho più bisogno della mongolfiera ma ho bisogno dell’aereo … e che tutte queste cose ci portano lì». Cose che costituiscono un continuum di attività e richiedono qualcuno che le segua dall’inizio alla fine e capisca con chi si debbano fare alleanze.
D. Stai dicendo che le alleanze sono indispensabili, che non si può fare da soli … che da soli si possono avviare piccole attività, … che ne so aprire una gelateria … è così?
R. Sì e anche per questo parlo di livelli di pianificazione … per l’individuo si tratta in genere di una finalità/obiettivo a breve-medio termine – in rari casi il domani – mentre per l’ente pubblico o privato si tratta di una finalità/visione da perseguire nel medio-lungo termine – il dopo domani –. Nei grandi enti pianificare significa mettere insieme gli elementi e dare indicazioni al leader che deve concretizzare la vision e indirizzare a traguardi intermedi con scelte a volte conflittuali con quelle iniziali. La vision esige costanza, immaginazione, oltre alla capacità di smussare i conflitti di cui è disseminato il percorso. Tutto ciò implica tempo e passi pianificati soprattutto che – se nel progredire si mostrano errati – bisogna scansare, rivedere, ripianificare. Porsi un obiettivo può «essere semplice» ma via via che accumuli informazioni (per comprare casa mi conviene un mutuo oppure no? compro in un’altra zona e perché?) ti rendi conto che il piano – oltre a definire l’obiettivo e anche la finalità che si intende raggiungere, di quanto tempo necessita e l’orizzonte temporale entro cui perseguirla – implica un continuo rielaborare e verificare quello che stai facendo.
D. In Italia abbiamo una cultura sociale e politica e anche industriale che conservano una forte impronta della tradizione artigiana: è possibile che questa tradizione confligga con il pianificare?
R. In laboratorio io ci sono nato, inizio a lavorare nel 1961 nei Laboratori Elettronici Olivetti a Borgolombardo con il computer Elea 9003 e so bene che il tema predominante è quello di fare sempre al meglio quello che sai già fare (ndr. nei primi anni Sessanta nelle scuole superiori e nelle università non esistevano indirizzi di studio in informatica che fanno capolino tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta). Nella nostra azienda (ndr. Italtel che produceva infrastrutture di rete di tlc) ricorderai che, tranne Marisa Bellisario, tutto il top management veniva dal laboratorio che condivideva questa cultura del fare sempre meglio quello che fai bene …
D. Marisa Bellisario, ricordo, aveva mandato negli USA un gruppetto di manager del laboratorio per industrializzare il progetto di ricerca che creava centrali elettroniche da inserire nella rete di telecomunicazioni al posto delle elettromeccaniche …
R. Bisogna che qualcuno in azienda ti stimoli a spostare l’asse e la forma del ragionamento, a chiederti perché quei canadesi (ndr. Northern Telecom) si sono messi a fare l’elettronica e fanno soldi mentre noi continuiamo con l’elettromeccanica facciamo fatica a fare profitto … Il laboratorio spinge a pensare nella forma di sempre, ma se il mondo fuori cambia? la Pianificazione richiede, a proprio complemento, un pensare con originalità.
D. Tornando alla nostra eredità culturale i laboratori artigiani innovano ma non pianificano?
R. L’individuo-artigiano svolge una micro-attività plasmata, consolidata e poi cristallizzata nel tempo (decenni o secoli) che si ripete. La vision, se c’era, era all’origine. L’artigiano di successo è riconosciuto per quello che realizza e per farlo in un certo luogo … «statuette di legno nella valle tal dei tali». Da tempo sa dove procurarsi il legno, per il resto bastano il laboratorio, gli attrezzi e le sue mani. La vision può ricomparire qualora l’artigiano decidesse che il prodotto va talmente bene che forse è giunto il momento di produrre molti più esemplari di quelli che riesce a fare con le mani sue e del ragazzo di bottega e pertanto deve produrli in serie e venderli anche al di fuori del confine regionale. A quel punto l’artigiano sconfina nel proprietario di una micro-impresa e per farla decollare necessita di una vision proiettata nel tempo.
D. Si può ricordare quanto fu criticato Armani quando molti anni fa sotto l’ombrello del suo marchio produsse jeans, un prodotto «per tutte le donne» da affiancare alla linea dell’alta sartoria. E Armani fu il primo poi seguito da tanti.
R. Per mia esperienza ogni qual volta che si propone qualcosa di nuovo in un’azienda, s’incontrano resistenze. Molte persone si sentono costrette a pensare fuori dagli schemi e per giustificare il loro istintivo «no» adducono la «mancanza di risorse»: i laboratori si difendono argomentando di tecnologie ancora in divenire, incerte, la vendita chiedendo lumi sulle dimensioni di un mercato subito ipotizzato come poco consistente. Sta al pianificatore accorto elaborare un dossier asettico, attentamente calibrato, che fornisca un quadro aggiornato sulle tecnologie in essere e in divenire e un’ipotesi di mercato proiettata nel tempo individuando i settori associati e i potenziali clienti, e gli eventuali partners con i quali procedere.
D. Politica e innovazione, politica e pianificazione. Per ben tre volte referendum legati alla revisione delle nostre istituzioni sono state bocciate, ultimo in ordine di tempo quello proposto dal governo Renzi … mentre la riduzione dei parlamentari ha avuto successo … anche questo ha a che fare con la nostra conversazione?
R. Certo siamo sempre al solito problema … cassare i deputati lo faccio con una legge che va avanti in modo immediato e non c’è bisogno di alcuna vision che invece è necessaria quando voglio cambiare il contesto istituzionale, il che richiede anni, richiede testa, richiede aggiustamenti nel tempo, e qualcuno che mi aiuti a farlo. A parte il solito discorso del ventre e della testa, la riduzione la puoi fare subito, perché è più semplice e più facile, anche perché si va sull’onda emotiva … nella vision non c’è onda emotiva o comunque è stata razionalizzata.
D. Nel preparare questa conversazione facevi riferimento al manifesto dell’Europa come esempio di innovazione e visione, e lì c’era e c’è un’emozione, un’emozione forte …
R. Certo che c’era una emozione e anche la vision. Pensiamo al contesto in cui nasce il manifesto «Per un’Europa libera e unita» scritto nel 1941 da Spinelli, Rossi, Colorni sull’Isola di Ventotene dove Mussolini li fa confinare perché non disturbino il regime … è proprio la contraddizione delle strutture totalitarie. L’Europa che sarebbe nata decenni dopo, trae le sue origini da una vision di democrazia e libertà che germogliava in un contesto di mancanza di libertà, di guerre, di eccidi. Altro caso quello di Enrico Mattei e dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI ) che nasce dalla sua visione. Mattei nell’aprile del 1945, invitato da Cesare Merzagora a liquidare l’Agip: in un paese che perfino il carbone lo prende dal Belgio, approfondisce l’argomento e cambia tutto, ritiene si debbba puntare allo sviluppo delle estrazioni di gas e petrolio per il futuro energetico nazionale. Era un uomo con una certa autorità ma trova degli alleati, da solo non sarebbe mai riuscito a farlo. Ultimo esempio il Manhattan Project. Racconta lo sforzo fatto tra il 1942 e il 1945 dagli USA – furono impiegate più di 130.000 persone in tre progetti, coordinati da Robert Oppenheimer – e la vision era realizzare la bomba atomica prima di Hitler e della Germania. La difficoltà maggiore, in questo caso, era la variabile tempo, molto compresso rispetto a obiettivi propri di una vision di tali complessità. Solo gli USA fanno così, mandano avanti più progetti identici all’inizio, che concorrono tutti sulla stessa finalità.
Sono tre casi – che vanno dal ’39 al ’45 – che richiedono capacità creative, intuitive, di proiezione per percepire spunti e idee, supporti e salti tecnologici che vagano nell’aria e tali da facilitare il raggiungimento dell’obiettivo finale. Sono tre casi ove l’aspetto politico è preponderante, e che richiedono alle persone che impostano e condurranno nel tempo la realizzazione della vision un tasso di creatività al di fuori della norma.
D. Se io volessi chiedere ai politici piani ben fatti e non solo slogan cosa dovrei chiedere? che caratteristiche dovrebbe avere una politica o un politico per rappresentarmi nelle istituzioni? Un suggerimento …
R. In un tragitto che porta al dopo-domani possono intervenire cambiamenti e salti tecnologici tali da mettere tutto in discussione, e proprio queste situazioni forniscono un giudizio veritiero sulla vision e i visionari che sono chiamati a realizzarla. Se si posseggono limitate capacità intuitive, di aggregazione e creatività difficilmente si perverrà a risultati utili. Il politico ha la responsabilità di scegliere chi lo aiuterà e di comprendere che coloro a cui affida la pianificazione non devono solo condividere la vision ma contribuire con la loro propria capacità visionaria di intuire il futuro.
D. Un ex leader sindacale, Marco Bentivogli[iii] ha scritto di recente in un articolo di un quotidiano che «per realizzare certe innovazioni c’è bisogno di strategie forti e di una Politica che ascolta, capisce, pensa decide, una politica con la P maiuscola» …
R. Soprattutto la Politica con la P maiuscola deve sapere fare i piani e le alleanze per poterli realizzare … Immaginiamo i tre a Ventotene, dopo che tutto finisce quanto tempo ci vuole tanto per realizzarlo … il piano non puoi realizzarlo da solo e le alleanze sono una risorsa fondamentale … se non sei capace di costruire alleanze intorno a questo piano e incominci a essere considerato una persona divisiva poi non ti crede più nessuno … fare alleanze significa anche mettere filtri, collaborare non significa accettare qualsiasi condizione. Un esempio: prendiamo Draghi, è una persona autorevole e quando lui dice una cosa gli altri ci pensano prima di rispondere perché se la dice vuol dire che l’ha esaminata per bene … e le cose continuano e procedono anche dopo che lui ha lasciato, grazie all’azione di persone a cui è stato permesso entrare portando un contributo. Come ho detto più volte l’orizzonte temporale è quello del dopo-domani che attraversa un periodo talmente lungo che ci sono salti tecnologici e politici che si succedono, con una messa in discussione non della vision, non nell’esito finale l’Europa, ma nei passi per realizzarla.
In chiusura chiedo a Riccardo Alloni la disponibilità a una seconda conversazione sul “mestiere di pianificare”, a un racconto del suo percorso di attività e carriera arrivando a dirigere la Pianificazione Strategica. In questo ruolo lo conobbi da neo-laureata da pochi mesi entrata in Italtel, quando Riccardo arrivò nella prima metà degli anni Ottanta. «Di norma chi pianifica ha la capacità di arrivare velocemente alla sintesi e nel mare di problemi che si propongono di individuare e isolare quelli veri dai falsi» ha detto Riccardo nella prima parte della conversazione. Da lì ripartiremo.
[i] Maurizio Molinari, “La Repubblica”, 22 luglio 2020, pag. 27
[ii] Vision e visione si alternano nel testo. Ho seguito il ritmo di Riccardo Alloni nell’uso trattandole come sinonimi.
[iii] Marco Bentivogli. “Il Foglio”, “La bolla dell’antipopulismo. Un recovery delle competenze”, 27 luglio 2020