Gabriele Nissim è fondatore e animatore di Gariwo (Gardens of the Righteouse Worldwide) l’Associazione che ha promosso il Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano, e a cui si deve la proposta della Giornata Europea dei Giusti, accolta dal Parlamento Europeo il 10 maggio 2012. “I giardini sono come libri aperti che raccontano le storie dei Giusti. Sono spazi pubblici in cui promuovere la memoria ma anche gli incontri” recita il portale di Gariwo.
Nel breve testo del 28 aprile “Democrazia ai tempi del Corona virus” si annuciava questa conversazione con Gabriele Nissim dedicata alla contaminazione tra democrazia, pace e pandemia. Gabriele inizia richiamando la visione dell’intellettuale israeliano Yuval Noha Harari che – in un’intervista del marzo 2020 rilasciata alla CNN e trascritta da Gariwo[i] – dice del valore della collaborazione tra paesi e genti spiegando che “se un Paese come l’Italia ad esempio sapesse che, nel caso decidesse di fermarsi riceverà aiuto da altri Paesi, sarà disposto a prendere prima questa misura drastica. A beneficio dell’intera umanità. Per ogni euro che la Germania o la Francia spendono per sostenere l’Italia in una situazione del genere ne risparmierebbero 100 in seguito, non dovendo affrontare l’epidemia nelle loro città.”
Ringrazio Gabriele per il tempo e le energie che ci ha dedicato. Ci siamo conosciuti da giovani e apparteniamo alla generazione del ’68, accomunati dallo spirito che mi sembra ben descritto da Hannah Arendt. “La rivolta degli studenti è un fenomeno mondiale … una generazione che sembra dappertutto caratterizzata dal semplice coraggio, da una sorprendente volontà di agire e da una non meno sorprendente fiducia nella possibilità del cambiamento”. [ii] Nell’infaticabile attività che Gabriele dedica ai Giusti ritrovo quella fiducia nella possibilità del cambiamento.
D. Con Gariwo ci hai guidato all’ascolto di persone che si sono impegnate per un bene responsabile e ‘possibile’ come tu lo definisci, con azioni che possono contravvenire le regole quando utili per salvare delle vite, anche una vita. Il tuo libro “Il bene possibile” racconta di Petrov, colonnello dell’URSS che nel settembre 1983 di fronte all’allarme di un attacco missilistico imminente segnalato per errore dal sistema di sicurezza antiaereo, non applica il protocollo, si prende tempo per capire qualcosa che non lo convince, e così salva l’umanità da uno scontro nucleare … Abbiamo letto che la scoperta del primo paziente a Codogno avviene grazie a una giovane anestesista che si prende la responsabilità di fare una analisi che il protocollo non prevede … cosa pensi di quanto stiamo vivendo oggi?
R. La prima riflessione è che questa esperienza del Coronavirus cambia un po’ il mondo, mettendoci di fronte al fatto che problematiche come i cambiamenti climatici e le pandemie si possono affrontare solo attraverso la collaborazione – tema su cui prendo sempre come riferimento l’intellettuale israeliano Harari, che mi piace molto –. È chiaro che certe sfide vanno affrontate con la collaborazione e che, lo si voglia oppure no, sei parte di quello che succede nel mondo, non ci sono delle isole … il Coronavirus si potrà sconfiggere solo se riusciremo a debellarlo in tutto il mondo, mentre se continuerà a girare in Africa, in America Latina o negli Stati Uniti vuole dire che non sarà sconfitto. Ci sarà poi il problema di un vaccino che sia a disposizione di tutti.
È una vicenda che anticipa proprio le grandi problematiche globali, ci fa capire che viviamo sullo stesso pianeta e se in questo caso il ‘nemico’ è il Coronavirus il pericolo futuro arriverà dai cambiamenti climatici e dal non avere voluto dare ascolto agli scienziati che da anni ne parlano. Questa esperienza del virus dovrebbe riaprire un confronto globale sui cambiamenti climatici e le scelte responsabili necessarie per affrontarli.
D. Che cambiamenti vedi nelle persone?
R. È una esperienza che porta molte persone a pensare in modo nuovo. Qualsiasi cittadino del mondo che viva in Italia, in Svizzera, in India o negli Stati Uniti ha affrontato gli stessi problemi e il virus ci ha reso tutti un po’ più uguali perché ci siamo resi conto che le problematiche erano uguali dappertutto. La vita quotidiana è stata simile per le persone a Parigi, a Londra, a Milano e – al di là di errori commessi – tutti hanno dovuto mettere le mascherine, tutti si sono posti il problema della vita e della morte, tutti si sono dovuti confrontare con il problema degli anziani: ci ha fatto capire che siamo nello stesso pianeta e che gli esseri umani sono più uguali di quanto si pensi.
D. Ragionare in modo diverso … intendi dire che qesta esperienza potrebbe suscitare un’attesa di cambiamento di fronte a domande innescate dalla pandemia e che tanti di noi si sono fatti?
R. Sì, per un verso questa esperienza può portare una crescita, spingere la Comunità Europea a una maggiore assunzione di responsabilità … potrebbe spingere tutti noi pensare al mondo … tutti ci poniamo domande sulla Cina, sulla Russia. Pensiamo alle domande che in molti ci siamo fatti sul problema della democrazia in Cina, spinti dall’aver compreso che quanto avviene in Cina ha conseguenze nella nostra vita … in questo senso ritengo che questa vicenda ci stimola a pensare in modo diverso.
Per altro verso il mondo è sempre uguale … all’interno di questa pandemia si sono manifestati quelli che definisco una serie di ‘mostri’ politici, ci siamo resi conto come oggi non esista una élite politica internazionale all’altezza, e come in certi paesi governino persone incompetenti. Partirei innanzitutto dagli USA con Trump e la sua gestione, la ripresa del motto «America First» e la sua politica populista … Trump, uno dei maestri del populismo mondiale che usa i social e Twitter come figura ultra-divisiva, creando intorno a sé nemici e contrapposizioni. È la prima volta nella storia che gli Usa, di fronte a una crisi internazionale, sono completamente mancati. Erano stati una guida nella lotta al fascismo nella seconda guerra mondiale, erano stati un punto di riferimento importante durante la guerra fredda nei confronti del totalitarismo sovietico. Oggi gli Usa, con la gestione Trump, sono mancati di fronte a una responsabilità globale e si sono contrapposti all’Europa rompendo quello che era un fronte occidentale democratico.
Nel mondo, oltre a questi ‘mostri’ politici, ci sono anche regimi autocratici, come la Russia di Putin, il Brasile di Boltsonaro, la Turchia di Erdogan e la Cina di Xi Jinping e dobbiamo tornare a interrogarci sulla democrazia.
D. Come vedi il legame tra la battaglia per sconfiggere il Coronavirus e quella per la democrazia?
R. Il corona virus ha messo di fronte a un cambiamento epocale e ancora non è finita, non abbiamo certezze su quello che accadrà nei prossimi mesi, è troppo presto per trarre conclusioni. L’unica cosa certa è che questo cambiamento è stato un cambiamento epocale e ha segnato una generazione. Di fronte a ciò puoi vedere il mondo in modo nuovo …
D. Cosa lega Coronavirus e democrazia?
R. Per affrontare questa battaglia del Coronavirus ci vuole, e c’è anche stata, una partecipazione della gente, un protagonismo delle persone chiamate ad assumersi responsabilità, cioè a praticare il distanziamento sociale, a prendersi cura degli anziani, a ripensare la sanità. Per sconfiggere il virus ci vuole la democrazia … e vedi la fragilità della democrazia nel mondo osservando iniziative e comportamenti come quelli espressi da Putin, da Boltsonaro e dalla Cina stessa.
D. L’azione per la democrazia dunque deve rinnovarsi …
R. C’è stato un fenomeno nuovo, che ha un po’ cambiato le carte in tavola, e parlo del grande fenomeno dei social, che è stata una grande rivoluzione. Però sui social si sono esercitati i populisti: Trump fa venti tweet al giorno e attraverso i social prendono parola i vari autocrati Orban, Bolsonaro, Erdogan e anche i leader populisti nostrani.
Hitler e Stalin esercitavano il meccanismo di manipolazione dialogando con la folla, chiedevano alla folla di dire sì, di dire no … oggi la manipolazione della democrazia avviene attraverso i social. Il che non significa essere contro i social ma – come ho sempre ritenuto – che c’è bisogno di determinare un controllo sui social. Oggi un leader o chiunque può scrivere anche una sciocchezza, e con una tecnica manipolatoria ottenere fans, qualche milione di fans: come una volta Hitler, Mussolini, Stalin manipolavano la folla dai balconi, oggi si può manipolare la folla dai social. È un fenomeno che credo ci debba fare riflettere.
Come è noto, attraverso i social si è manifestato un meccanismo nuovo, il meccanismo dell’odio, la politica del disprezzo … ci sono politici che hanno utilizzato i social per attaccare e disprezzare le persone, così i social da modalità nuova di dialogo e conoscenza tra le persone sono diventati momento di contrapposizione. Oltre al fenomeno noto di Salvini e de “la Bestia” ci sono in Italia alcuni personaggi, anche intellettuali, che usano i social per fare delle crociate e creare tribù.
Se sei una persone che può fare opinione per ruolo o per cultura, tanto più è importante e soprattutto quando si esprime una opinione forte, fare la massima attenzione a come esprimerla sui social … va creato un nuovo galateo (si veda proposta sul portale di Gariwo). Prima di tutto penso che si debba promuovere una consapevolezza e che controllo e censura vadano usati nel caso affermazioni che richiamino odio o genocidi, non solo da parte di privati, ma ancor di più da parte di leader di governo di grandi stati.
Credo che questi siano problemi nuovi della democrazia: per esempio la cosa più sbagliata è – come fa Trump per sottrarsi agli organi della globalizzazione – mettere in discussione tutte le istituzioni internazionali e di collegamento, come l’Onu o l’Organizzazione Mondiale della Sanità, istituzioni che mostrano limiti, dicono cose anche discutibili e faticano ad essere adeguate … ma il nostro intento è che ci siano e si rinnovino di fronte all’impegno per le grandi battaglie democratiche.
Durante questa crisi per la prima volta prima Twitter poi Facebook si sono posti il problema, iniziando a fare i conti con l’uso populista dei social.
D. La cosa interessante della democrazia è che, magari improvvisamente, la regola cambia …
R. Sarebbe questo un momento fertile per riprogettare, mettersi in discussione … in Italia questa domanda di senso e di futuro è un terreno fertile su cui sembra mancare una capacità della politica di ispirare un rinnovamento. Si sente la mancanza di personaggi capaci di unire la pluralità.
[i] https://it.gariwo.net/educazione/yuval-noah-harari-sull-emergenza-covid19-21870.html Chivoglia saperne di più dei Giusti, di Harari e di Gabriele Nissim può collegarsi al portale di Gariwo.
[ii] Hannah Arendt “Sulla violenza”, ed. Guanda, 2016 –Milano, pag. 19

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