Accadde a maggio. Torna la corrente elettrica in una casa occupata grazie a un atto dell’Elemosiniere del Papa.

A maggio, un paio di settimane prima delle elezioni europee, le cronache portano alla ribalta la notizia che l’Elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, rischia di finire indagato per avere rotto i sigilli che impedivano l’erogazione dell’elettricità in appartamenti occupati abusivamente in uno stabile della periferia romana in via Santa Croce in Gerusalemme. Il frastuono della campagna elettorale allontana rapidamente la notizia dai riflettori.

Gli articoli che La Stampa del 14 maggio* dedica al fatto contengono alcune osservazioni. Una è la dichiarazione del coordinatore degli occupanti che “tutti sono disponibili a pagare il consumo di elettricità” e stanno cercando un modo per ottenere gli allacci, ma senza ricevere ascolto. La seconda sono racconti di occupanti, coinvolti per esempio in turni di pulizia: se qualcuno sgarra, dicono, deve recuperare facendone uno doppio. Ma vivono nel terrore dello sgombero.

Converso su questa vicenda con Diego Coletto,professore associato in Sociologia economica e del lavoro all’Università Bicocca di Milano, nel Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale. Su questi temi avevo già chiesto lumi a Diego mentre preparava un libro sulle regole dell’economia informale** e sempre sull’argomento, nel 2008 in occasione di una mia collaborazione ad un progetto europeo, a Damasco. Un collega siriano ci aveva invitato a casa sua. Durante la cena con la sua famiglia ci aveva raccontato che lui e tutte le famiglie che abitavano nel quartiere si stavano costruendo la casa ‘abusivamente’, poco per volta, alcuni anche con prestito della banca, su un terreno pubblico alle pendici di una collina che abbracciava un lato della città. Qualche giorno dopo, sempre a Damasco, durante un seminario l’economista latino-americano Hernando De Soto rivolgeva alcuni “suggerimenti” al ministro della Finanza. Un esempio riguardava proprio quel quartiere di case costruite abusivamente e come rendere possibili interventi per favorire il rientro nella legalità. Richiamava anche l’attenzione di tutti sul fatto che le persone in condizioni di abusivismo in genere ne vogliono uscire, e invitava il ministro, come primo passo per cercare una soluzione, a valutare quanti fossero.

D. Mi ha colpito la similitudine tra gli argomenti di De Soto e la dichiarazione del coordinatore degli occupanti della casa nella periferia romana. Che ne pensi?

R. Fa abbastanza sorridere il riferimento a De Soto – un esponente del pensiero economico liberale e sicuramente liberista nelle ricette – quando si parla di fenomeni di auto-organizzazione ‘dal basso’ per esigere dei diritti non riconosciuti. Però, anche se in effetti le ricette sono discutibili, nell’analisi De Soto ha trovato elementi che possono essere utili per leggere simili situazioni. È sua l’idea di non pensare alle persone che vivono nell’illegalità e nella marginalità o come persone totalmente passive e in balia di qualsiasi tipo di evento da un lato, oppure, dall’altro lato, come un gruppo completamente omogeneo di persone che in qualche modo ‘lucrano’ della situazione di illegalità.  La sua analisi – che ha il limite di essere strettamente economica e di non considerare aspetti sociali importanti – descrive quelle persone e le loro attività come risorse non adeguatamente utilizzate o potenziate. Poi traduce in capitale il valore vuoi delle abitazioni, più o meno raffazzonate, che queste persone costruiscono, vuoi delle attività commerciali o economiche che sviluppano su questo suolo occupato: e lo definisce ‘capitale morto’ perché non ha un valore di scambio che consenta di fare transazioni, scambi che vadano oltre il piccolo gruppo in cui queste persone si trovano. Tratto fondamentale dell’analisi di De Soto è quello di considerare gli individui che vivono e lavorano nell’informalità come degli attori razionali dal punto di vista economico, che decidono per l’informalità, dopo aver fatto una loro valutazione dei costi e dei benefici della dimensione formale e di quella informale dell’economia.

D. È questo il suo limite? Leggere tutto in chiave esclusivamente economica?

R. De Soto è stato consulente economico di molti Paesi del sud del mondo, e con questa lettura esclusivamente in chiave economica mette in risalto l’inadeguatezza del sistema formale di regole che governa varie dimensioni della vita delle persone che vivono in quei Paesi. Di fronte a tale inadeguatezza, la riforma dei sistemi di regole di molti di questi Paesi risulterebbe inattuabile, o comunque inefficace, e dunque la soluzione migliore, per l’economista peruviano, è che lo Stato si faccia da parte il più possibile e lasci che leggi del mercato facciano il loro corso.

D. Quindi come ricetta un farsi da parte dello stato senza soffermarsi su come fare crescere istituzioni democratiche   

R. Sì. Chiaramente le ricette proposte hanno limiti evidenti; ma, come detto prima, la sua analisi dell’informalità contiene aspetti interessanti, soprattutto se pensiamo che il suo lavoro più importante è stato pubblicato negli anni Ottanta, quando chi lavorava nell’economia informale veniva per lo più rappresentato come un individuo passivo e sfruttato. Fino a quegli anni infatti, chi era povero o viveva ai margini della società veniva considerato come il ‘poveretto’ che aveva solo bisogno di assistenza, e che non era in grado di provvedere a sé stesso e alla propria famiglia. De Soto dice: no, guardateli bene! Pur nelle condizioni difficili in cui stanno, queste persone, in qualche modo, si costruiscono una casa, trovano il modo di intraprendere delle attività economiche basilari per garantire un minimo di reddito per sé e per la loro famiglia; e questo è un aspetto importante, di cui tenere conto. Ed è qui che vedo qualche punto di contatto tra l’analisi di De Soto e la vicenda di Roma e dell’Elemosiniere del Papa.

D. Cioè? Spiegami bene per favore …

R. Perché se ci si sofferma al mancato rispetto di una legge e non si va vedere cosa c’è dentro … chi sta trasgredendo quella legge? Perché e come la sta trasgredendo? Se l’analisi si ferma alla verifica del fatto che una legge è stata trasgredita, c’è il rischio che si cerchi di eliminare l’illegalità senza risolvere il problema.

D. Secondo quanto riportato al quotidiano La Stampa* Salvini aveva detto che “allora tutti gli italiani che pagano sono fessi”. Io non mi sento fessa e mi sento fortunata rispetto a queste persone, ma posso capire che ci sia qualcuno che ….

R. In questo caso credo sia sbagliato costringere l’analisi della situazione dentro una dicotomia, uno schema che separa le persone tra due comportamenti: ‘chi paga e chi non paga’. Se si usa solo la dicotomia legale/illegale per comprendere le situazioni di illegalità, c’è il rischio che, nel medio periodo, le soluzioni proposte per risolvere la situazione si dimostrino inefficaci, se non addirittura dannose. Vari studi sull’economia informale, finalizzata alla sopravvivenza delle persone che ci lavorano, e su situazioni di informalità simili a quella di Roma hanno messo in risalto che si tratta per lo più aree abbandonate dallo stato e di disagio, in cui possono esistere diverse forme di illegalità, a volte anche confliggenti fra loro. In certe situazioni, come ha illustrato De Soto, gli istinti di sopravvivenza prevalgono, ma ciò non significa che si crei una situazione omogenea: i modi per provare a sopravvivere intrapresi dalle persone possono essere molto diversi fra loro e credo che il primo passo per provare a risolvere queste situazioni sia quello di comprendere queste realtà, in tutta la loro diversità.

Solitamente il problema non si risolve solo distinguendo fra legale e illegale. Prendiamo l’esempio delle case popolari; certo bisogna risolvere il problema dell’abusivismo, ma non è che lo risolvi se operi lo sgombro e poi lasci la casa in una situazione spesso decadente e con servizi scarsi per la comunità. Così, semplicemente, rendi ancora più invisibili le persone che già vivono ai margini della società.

Occorre pensare che dentro quella invisibilità, quella assenza di regole dello stato, ci sono altri sistemi di regole che sostituiscono quelle dello stato. Non immaginiamo una condizione di massima libertà, tutt’altro; a volte i sistemi di regole che si sostituiscono a quelle dello stato sono ancora più stringenti: mi viene in mente il controllo della criminalità organizzata per l’assegnazione degli alloggi, dell’accesso all’acqua e all’energia elettrica. In altri casi invece (come sembra essere quello dello stabile occupato di Roma), subentrano sistemi di regole che nascono ‘dal basso’, dalla volontà di un gruppo di persone di organizzare la realtà disagiata in cui vivono, cercando di migliorare le loro condizioni di vita, seppur precarie. Ecco, per provare a risolvere problemi spesso complessi, credo che sia fondamentale iniziare a comprendere quali sistemi di regole prevalgono nei vari casi di informalità e come essi funzionano.

D. Mi hanno colpito queste tue osservazioni. Se si sgombra e basta primo cresce l’invisibilità delle persone, secondo non si risolve la situazione di illegalità…

R. Credo che l’intervento di sgombero da solo non risolve l’illegalità e, in più, c’è il rischio di fare tabula rasa anche di forme di sostentamento e di auto-organizzazione create ‘dal basso’, dalle persone che vivono quotidianamente in quelle realtà. In alcuni casi, si tratta di forme che hanno mobilitato risorse utili da cui partire per affrontare le situazioni di disagio sociale in cui queste persone vivono.

D. Nello stesso periodo genitori di una scuola della periferia romana hanno praticato una ‘ronda protettiva’ prendendosi cura di una bimba rom che iniziava a frequentare la scuola dopo l’assegnazione di un alloggio in zona alla famiglia, garantendo l’accesso della bimba e la tranquillità degli altri bambini…

R. Sì, sono molteplici gli esempi di mobilitazione di risorse che possono avvenire, seppur in situazioni di informalità. Lo sforzo principale deve essere quello di cercare di comprendere come essi funzionano, cosa portano alla comunità, chi li promuove.

Infatti, tra le forme sostitutive che intervengono nell’assenza sostanziale di regole dello stato alcune sono virtuose e, se studiate, magari possono portare a correttivi in grado di migliorare l’apparato legislativo esistente, rendendo più accessibili e fruibili i servizi a disposizione della comunità. Altre forme di regolazione ‘sostitutive’ possono essere invece totalmente negative: per esempio, quando interviene la criminalità organizzata che inizia a fornire servizi di protezione, e non solo, a una comunità sostituendosi allo stato; si tratta però di servizi che hanno un altissimo prezzo per la comunità stessa, intrappolandola in situazioni in cui l’agency (ndr. lo spazio di azione) degli individui si riduce ulteriormente.

Per questo ti dico che singoli interventi, come gli sgomberi, possono essere controproducenti, perché aumentano il livello di invisibilità, di isolamento e di vulnerabilità di queste persone, con il rischio che diventino soggetti sempre più esposti all’azione della criminalità organizzata.

D. Come possiamo concludere. 

R. Come ti dicevo prima, credo sia fondamentale osservare da vicino e cercare di comprendere le logiche che fanno ‘funzionare’ le diverse situazioni di informalità, comprese le occupazioni abusive degli stabili. Questo sforzo permette infatti di discernere tra i diversi sistemi di regolazione che le fanno funzionare, dove c’è una presenza importante di criminalità organizzata e dove, invece, sono nate forme di organizzazione ‘dal basso’, in grado di valorizzare alcune risorse comunque presenti in queste situazioni di marginalità. Si tratta di risorse che, a mio parere, lo stato dovrebbe sostenere e ‘affiancare’ per costruire insieme percorsi che portino alla legalità. Conosco il caso di Roma solo superficialmente, dalla lettura e ascolto dei giornali. Da questi resoconti è emerso che queste persone stiano provando ad auto-organizzarsi per dare un ordine sociale alla comunità che vive nello stabile: se lo stato non avvia forme di ‘dialogo’ e di riconoscimento con questo tipo di regole, valorizzando il loro valore positivo, il rischio è che aumenti sempre più la distanza tra le regole formali e quelle informali e il livello di sfiducia, di distacco di queste persone dalle istituzioni formali.

Ringrazio Diego per la sua disponibilità. Concludo ricordando che tra gli occupanti di quello stabile, uno racconta a La Stampa* che dopo il gesto del cardinale “abbiamo sperimentato il significato della parola solidarietà … e noi che ci sentivamo abusivi abbiamo visto i genitori della scuola De Donato mettere a disposizione la doccia, le lavatrici, uno spazio nel frigo. L’effetto di un gesto grandioso”.

*La Stampa, 14 maggio 2019. Francesco Grignetti “Ora l’Elemosiniere rischia un’indagine per furto di energia”, pag. 8 e Maria Rosa Tomasello, “Nello stabile occupato si cerca la normalità. ‘Ma viviamo con l’incubo dello sgombero’.”, pag. 9.

** Diego Coletto, “The informal economy and employment in Brazil”, ed. Palgrave Macmillan, New York, 2010.

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