Ius Culturae, un progetto di legge di iniziativa popolare

La proposta e la raccolta delle firme. Conversazione con Gianluca Pomo, che opera per collegare i Comitati milanesi di Ritorno al Futuro al Comitato Nazionale con cui collabora. Gli chiediamo un approfondimento sulla proposta del cosiddetto Ius Culturae e sull’andamento della raccolta di firme che ha avuto inizio nel maggio scorso.

“Stiamo partendo con una serie di iniziative con i Comitati di Azione Civile Ritorno al Futuro. Da qualche tempo è partita la prima grande battaglia, tra le tante territoriali: il Progetto di Legge di iniziativa popolare dello Ius Culturae [ndr. Diritto per ragioni di cultura]. I Comitati non si fermano qui, e abbiamo proposto proprio nelle ultime settimane altre iniziative, una per contrastare la piaga delle fake news, altre sui temi economici e tanto altro. Questa è la prima grossa iniziativa a livello nazionale anche perché la volontà è portare direttamente in Parlamento la Proposta di Legge, e fare sì che le Camere prendano coscienza. ”

Le Camere, quella dei Deputati e quella dei Senatori, sono tenute a portare in aula il dibattito sul Progetto di Legge una volta raggiunte le cinquantamila firme?  

Tenute no, ma messe in condizione di potere leggere e discutere una riforma che già il popolo ha visionato e cinquantamila firme sono una rappresentanza abbastanza solida a livello nazionale. Fu proprio il governo Renzi a provare a inserire nei vari pacchetti di riforma l’obbligo per il Senato di prendere visione e portare la discussione in Parlamento di tali Progetti di Legge. Poi tutto è naufragato con il fallimento al referendum costituzionale. Ad oggi una proposta di iniziativa popolare ha molto peso e difficilmente un governo, anche se il periodo è particolare, può non prenderla in considerazione perché muove e smuove più persone rispetto a una proposta parlamentare che magari può cadere rapidamente nel dimenticatoio”.

Oggi si parla di Ius Culturae mentre in precedenza si parlava di Ius Soli. Come mai?

La nostra proposta è la stessa che già nel 2015 fu approvata alla Camera dal governo Renzi. Allora si era parlato di Ius soli [ndr. Diritto per ragioni di suolo] per varie ragioni. Innanzitutto in Italia lo Ius soli non esiste, siamo il paese europeo con più limiti nella cittadinanza per i nostri giovani. Siamo in assoluto i più arretrati e rimasti agli anni Novanta quando il fenomeno migratorio era differente e nel paese c’era meno multi-etnicità.

Oggi la riforma mette al centro lo Ius culturae perché si tratta di recuperare maggior consenso possibile e fare qualche passo avanti rispetto al nulla attuale.  Infatti anche se sei nato in Italia, parli italiano meglio di tanti italiani, fai tutte le scuole in Italia e hai genitori stranieri, per diciotto anni non sei cittadino italiano. 

Oggi sei cittadino italiano dalla nascita solo se hai un genitore italiano. In tutti gli altri casi fino a diciotto anni non se ne parla, e le complicanze sono tantissime: dal non poter disporre di una carta di identità all’impossibilità di prendere parte alle gite scolastiche come i propri compagni di classe, fino alla necessità di richiedere costantemente il permesso di soggiorno. Il che, oltre a essere una questione dai pesanti risvolti burocratici e psicologici, ha anche un costo elevato per le famiglie. E molto altro ancora. Insomma, ci sono bambini di seria A e altri di serie B.

Non esisti fino a diciotto anni, si può dire così?

Praticamente non esisti. Abbiamo fatto vari esempi anche di ragazzi che sono validi sportivi. Cito sempre il caso Eduard, il ragazzo di Cuneo, campione assoluto nei tuffi, un ragazzo eccezionale di sedici anni, mangia i piatti della cucina italiana, parla benissimo italiano, è italianissimo ma non lo è per la legge. Nel suo sport è già papabile per la nazionale ma non per la nazionale italiana, i suoi record non valgono. Dice: io mi sento italiano. Arriva sempre primo o secondo ma non sale mai sul podio, non esiste, e pensiamo quanto ne può risentire un bambino, un ragazzo. Si dice spesso che chi nasce in Italia è più colpito da questo vuoto legislativo, ed è oggettivamente vero.

In conclusione lo Ius Culturae è ad ampio raggio e soprattutto, cosa che a me piace particolarmente, associa un sistema di diritti a un sistema di doveri. È vero che la cittadinanza è un diritto però avere la cittadinanza, essere italiano, comporta anche dei doveri, e chi ha scritto questa legge è stato mosso dall’idea di associare la scelta del paese in cui stare a qualcosa di importante, cioè la scelta del ciclo di formazione. Chi sceglie e frequenta un ciclo di formazione, ritornerà a quel paese attraverso il proprio lavoro e la propria competenza.

Ho sentito citare spesso il limite di età quello dei dodici anni, come mai?

La riforma è divisa in due e riguarda chi arriva entro i dodici anni e chi dopo. Ius culturae è una proposta, un progetto di legge che comprende anche una forma di Ius soli temperato per coloro che abbiano genitori con un permesso di soggiorno perenne.

Infatti permette anche a chi arriva dopo il dodicesimo anno di età, di ottenere la cittadinanza dopo avere frequentato un intero ciclo di studi e avere maturato una permanenza in Italia di almeno sei anni. Dunque per il giovane che arrivi a dodici-tredici anni, l’iter pensato da chi ha scritto questo testo prevede che si raggiunga la cittadinanza intorno ai diciotto anni, ma comunque molto più rapidamente di oggi – per chi appunto non è nato in Italia – e per così dire ‘automaticamente’, previa richiesta ovviamente, se sono rispettati i criteri di studio e permanenza. Lo Ius culturae è dunque una proposta in cui merito e competenze vengono associati a un sistema di diritti e di doveri.  E comprende una possibilità anche per chi arriva dopo i dodici anni.

Grazie per questi chiarimenti. E sulla raccolta firme? È in tutta Italia e a che punto siamo?

Tutti i comitati a livello nazionale dalla Valle d’Aosta alla Sicilia si stanno muovendo e siamo abbastanza fiduciosi sul fatto che si possa raggiugere l’obiettivo. Continueremo la raccolta firme fino a fine settembre per arrivare in Paramento entro metà ottobre. La raccolta procede in tutta Italia. , bene anche al Centro e al Sud, per non dire di Roma e Milano, tra le città più attive come numero di Comitati. Tutti si stanno muovendo per riportare agli occhi dei palazzi del potere una norma talmente importante da risultare oggi necessaria rispetto a un ventennio fa, quando le cosa andavano in modo estremamente diverso.

Battersi per raggiungere le firme necessarie anche senza certezza di raggiungere l’obiettivo finale, cioè permettere a ragazzi come Eduard di conseguire la cittadinanza italiana per norma e non solo per meriti eccezionali … forse pensiamo a una nuova visione della politica? Che unisce  democrazia e discussione tra la gente?  

Sì, una discussione completamente dimenticata e il governo non ha nessuna intenzione di rimetterla al centro. Parliamo di integrazione, talvolta male e non parliamo di come aiutare l’integrazione di chi già c’è … non sappiamo se questo governo prenderà in carico la proposta, ma la situazione è questa e confidiamo che qualcuno di questo governo o di uno successivo raccolga la proposta che il popolo ha riportato in circolazione. È una battaglia che non si può dimenticare e questo è uno degli scopi dei Comitati, qualche iniziativa sarà più concreta, qualche altra più di ideale e visione della società, ma di sicuro necessaria per un paese che nel 2020 dovrebbe essere una democrazia liberale a tutti gli effetti.

Una signora firmando mi ha detto “io non sono del PD, sono diversamente di destra”. Con la firme si è assistito a una presa di posizione trasversale, concordi?

Assolutamente sì, un po’ perché ci sono alcuni valori assolutamente imprescindibili per una democrazia liberale e oggettivamente trasversali a chi ha un pensiero attuale e attualizzato, oltre al fatto che i Comitati non sono affiliati ad alcun partito e le persone sono accomunate da valori. Se trasformiamo la mancata integrazione in una creazione di muri stiamo distruggendo l’idea di democrazia e molti che sono democratici, anche senza essere iscritti al Partito Democratico, sono molto vivi nella volontà di attuare una riforma di questo genere. La cosa è concreta perché alcune riforme non sono né di destra né di sinistra, sono semplicemente giuste. Fortunatamente il nostro paese è democratico da qualche decennio e ci sono molte persone democratiche che non sono associate a nessuna famiglia politica, liberale, socialdemocratica o socialista che sia. 

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